Lavoro in Vigneto e in Cantina

 

C’è un percorso semplice ma ben definito che porta alla nascita di un vino. E questo percorso parte dalla terra. Un terreno è fatto di roccia (minerali) e di suolo (vita microbica e sostanza organica).Due componenti differenti, ma altrettanto importanti. La vite esplora e assorbe i minerali del terreno grazie ai funghi e batteri che vivono nel suolo. Perché la vite con le proprie radici assorba i minerali del terreno deve trovare un suolo vivo e non reso sterile da diserbi, concimazioni chimiche e trattamenti antiparassitari e anticrittogamici massicci. Per garantire quel rapporto intimo tra pianta e terreno devo mantenere alta la vitalità e fertilità del suolo. Ecco perché ho deciso di non diserbare, di non concimare chimicamente e di preferire rame e zolfo per la lotta a peronospora e oidio. In autunno e primavera spando nel terreno il cornoletame con i preparati da cumulo (500P), utilizzati in agricoltura biodinamica, per apportare vita microbica al suolo e stimolare il lavoro e l’approfondimento delle radici. Lascio i vigneti inerbiti di erbe spontanee. Non sovraccaricare la pianta di gemme durante la potatura invernale. Non ho una regola fissa. Decido quante gemme lasciare a seconda della vigoria della singola pianta. Normalmente da 10 nei vigneti più giovani a guyot a 20 in quelli più vecchi a doppio capovolto. In primavera intervengo tempestivamente a togliere tutte le doppie gemme. Questa operazione mi permette di avere un apparato fogliare più areato. La vegetazione nuova viene regolarmente legata durante la crescita. Durante l’estate effettuo un’unica cimatura manuale che decido in base alla crescita dei tralci.

Vendemmio quando sento l’uva dolce, ma ancora croccante. Non troppo matura perché desidero preservare una giusta e per me importante acidità. Durante la raccolta rispetto al massimo l’integrità delle uve con una vendemmia esclusivamente in cassetta. La pressatura è fatta a grappolo intero senza diraspatura, per estrarre in modo delicato il meglio del succo d’uva presente negli acini.

I mosti fermentano in maniera spontanea dopo una decantazione statica a freddo, in vasche di cemento, con un blando controllo della temperatura, in modo che non superi i 22°C. E’ davvero fondamentale lasciare che ogni vasca segua il suo processo fermentativo senza alcun ausilio di attivanti e lieviti esogeni. In questo modo nel mosto lavorano svariati microorganismi, quelli dell’uva nei primi giorni e quelli della cantina successivamente. Solo così riusciremo a garantire la formazione di aromi e sapori autentici legati alla propria terra e al vitigno. E’ questa la fase che mi piace chiamare “formatrice” del vino, la più importante. Sarà davvero difficile se non impossibile riuscire ad ottenere un vino territoriale senza rispettare una fermentazione spontanea. Anche un vino frizzante o spumante che prevede una seconda fermentazione rimarrà sempre profondamente segnato da questo primo e importantissimo processo fermentativo. Voler togliere materia al mosto con decantazioni eccessive, alterarne i valori nutrizionali e soprattutto inoculare una popolazione di lieviti esogeni, impoverisce, semplifica, banalizza e deterritorializza il vino risultante. Al termine della fermentazione avviene un travaso per eliminare la feccia più grossolana, con l’immediata aggiunta di una piccola dose di solforosa.

Per tutto l’inverno il vino riposa in vasche di cemento senza essere più toccato. Ritengo importante per territorializzare il mio vino lasciarlo affinare sulle fecce fini per sei mesi fino a primavera. E’ questo un momento in cui il vino crea i propri equilibri grazie al lievito che ne è un regolatore. Sarebbe depauperante per il vino doverlo chiarificare o filtrare appena conclusa la fermentazione.

A marzo, dopo una leggera chiarifica, se necessaria, e aggiunta la giusta percentuale di zucchero corrispondente alla pressione che si vuole ottenere in bottiglia (18g/l con conseguente sviluppo di 4,5 bar), con l’utilizzo di un lievito selezionato, avviene la seconda fermentazione in serbatoi di acciaio a tenuta di pressione chiamate autoclavi, con controllo della temperatura. Terminata la fermentazione il vino, dopo una microfiltrazione, viene messo in bottiglia, con l’ultima e definitiva aggiunta di solforosa.

La presa di spuma, aiuta questo vino che non ha nell’intensità, ma bensì nella leggerezza, le sue doti, ad esprimersi. Il vino si presenta come extra brut, senza residuo zuccherino. Scelta dettata dalla volontà di esaltare il sapore originale, nel rispetto dell’equilibrio naturale di acidità, sapidità e struttura. Non è l’espressione  di un unico cru, ma dell’insieme dei nostri vigneti, nella quale i singoli caratteri che ogni vigna sa dare si fondono insieme in una fisionomia di maggiore complessità.

Non mi riconosco come naturalista integralista che lascia completamente tutto alla natura e al caso. Desidero guidare il processo naturale intervenendo il meno possibile e solo dove ritengo necessario per garantire il mantenimento nel vino di pulizia, finezza, gradevolezza e gusto senza alterare i suoi naturali equilibri.

Cerco di portare dentro i mie vini l’espressione fine e delicata che il Prosecco riesce ad esprimere nei migliori terreni di Valdobbiadene.